Jon Kabat-Zinn, uno dei pionieri di questo approccio, sostiene che: “Mindfulness significa prestare attenzione, ma in un modo particolare: a) con intenzione, b) al momento presente, c) in modo non giudicante”.

Si tratta di un'esperienza; un modo per coltivare una più piena presenza all’esperienza del momento, al qui e ora.

Da un lato, una capacità progressiva di maggiore presenza al qui e ora allena le nostre abilità di attenzione e consapevolezza, e ci apre a esperienze inaspettate, alla ricchezza del momento presente, alla pienezza del vivere. Dall’altro, la pienezza dell’esperienza comprende necessariamente anche il suo lato “negativo”: il disagio, la sofferenza, il dolore. E qui si gioca uno degli aspetti più interessanti di questo approccio che ci chiede e ci insegna a non respingere e a non negare questa dimensione ma a conviverci, a tollerarla senza reagire in balia del pilota automatico. Ci insegna quindi l'arte dell'accettazione: le esperienze negative sono parte integrante dell'esperienza umana, cercare di evitarle non fa che renderle più invasive e invalidanti; la strategia migliore per gestirle è lasciarle entrare, osservarle con curiosità e lasciar fare il loro decorso naturale. L'accettazione, a sua volta, è il primo passo per il cambiamento, per rendere possibili scelte libere dagli schemi cognitivi ormai automatizzati.

Un percorso fatto di psicoeducazione e pratiche meditative allena la mente a pensare in modo più funzionale, a evitare sofferenza superflua e a gestire quella inevitabile;  sviluppa la consapevolezza e favorisce il benessere personale.

 

E la Mindful Eating?

Altro non è che l'applicazione dei principi della mindfulness alla sfera dell'alimentazione e del rapporto con il proprio corpo.

 

Entrambe possono essere:

- Strutturate in protocolli esperenziali da 8 incontri ciascuno, in setting individuale o di gruppo

- Inserite, in modo non strutturato, nei percorsi individuali per affrontare speficichè criticità 

 

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